27 nov 2006

Il grande risiko delle banche popolari

dalla rivista Economia&Mercato
L’Italia delle banche popolari si sta muovendo con grande rapidità. Il tessuto operativo degli istituti di natura popolare, infatti, li porta ad essere banche tradizionalmente ricche, influenti e con grandi possibilità di sviluppo. Dopo l’era delle grandi concentrazioni che ha visto le big accasarsi una dopo l’altra con l’esclusione di Capitalia ed MPS, ora è l’inevitabile turno delle popolari. I primi e riusciti tentativi sono stati fatti da Popolare di Verona e Novara che hanno dato vita ad un colosso vero e proprio e dalla BPU che però manca ancora di smalto.Ora è il turno di Popolare di Milano e Bper. Ambedue si guardano come possibili partner ma non si decidono a muovere perchè non si riesce a capire chi è la preda e chi il predatore. Milano ha provato a girare il proprio faro su altre entità come Popolare Italiana e Intra ma con scarso successo. Ora si ritrova a dover trovare un partner. Qualcuno si pone sempre la domanda se ciò sia necessario o meno. Ormai è chiaro che piccolo non sempre è bello. Lo hanno capito le banche di credito cooperativo che rimangono istituti di credito territoriali ma che offrono servizi in rete identici per tutti. Questo sistema non è riuscito a svilupparsi per le popolari. Le cause sono molteplici. da una parte c’è la grande voglia di unione che ha visto vari movimenti, dall’altra la gelosia quasi di campanile e quindi la mancanza di determinazione nelle fusioni interregionali. Insomma è stato più facile unire la Bper agli istituti sardi che tentare un’intesa con vicine importanti come la Lodi, prima che diventasse Popolare Italiana, o la PopMilano. Ma il vero problema delle popolari rimane il sistema di voto nelle assemblee. “Una testa, un voto” questo è il motto, molto valido un tempo ma che oggi dimostra tutti i propri limiti. E’ vero che per quelle popolari in mano a grandi gruppi non ci sono stati mai problemi insormontabili, ma diversi investitori hanno rinunciato alla battaglia per non dover poi “combattere” con i piccoli soci attaccati al territorio.L’unica strada percorribile rimane quella dell’Opa totalitaria ma non tutti ritengono necessario investire per la conquista. Veneto Banca, ad esempio ha utilizzato il metodo federativo facendo rimanere la testa operativa ad Intra senza scossoni che avrebbero potuto innervosire i piccoli azionisti. L’Europa ha più volte chiesto di intervenire ai vari governi ma non ha mai ricevuto una risposta e quindi McCreevy ha annunciato ripetutamente l’apertura di un dossier proprio sul voto capitario. Ma anche nella UE c’è chi spinge per tirare il freno, ad esempio la Francia e la Germania che hanno sistemi simili rispettivamente con le popolari e le Landsbank. Sarebbe effettivamente più rapido un intervento legislativo che differenzi i sistemi di voto in assemblea tra istituti quotati e non, oppure che obblighi ad una trasformazione in Spa con la creazione a monte di una società o una Fondazione con in mano il portafoglio di azioni.

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